giovedì, aprile 26, 2007

Date un'occhiata alla proposta di legge Mantini n. 1216 presentata alla Camera dei Deputati il 27 giugno 2006.

"[...] Per professione intellettuale si intende l’attivita` economica, anche organizzata, diretta al compimento di atti e alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi esercitata, abitualmente e in via prevalente, mediante lavoro intellettuale. [...]"

"[...] La « professionalita` » o il « professionalismo» costituiscono ormai un vero « marchio » dell’epoca contemporanea [...] Anche i dati stanno a confermarlo, se solo si pensa che le professioni intellettuali tradizionali e le nuove professioni emergenti costituiscono insieme circa il 20 per cento del mercato del lavoro in Italia (4 milioni di addetti) e quasi altrettanto in termini di prodotto interno lordo (PIL). [...] Per ragioni economiche, per rispettare le direttive europee e le indicazioni dell’Antitrust, la riforma e` imprescindibile. L’obiettivo non e` abolire gli Ordini professionali, ma rinnovarli profondamente, e riconoscere le nuove professioni e le loro associazioni, sulla base del cosiddetto « sistema duale ». [...]"

Consulta l'originale in formato .pdf QUI.

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mercoledì, aprile 18, 2007
 
posted by alex at 13:32 | 0 comments
mercoledì, aprile 04, 2007


Date un occhio ai video che girano tranquillamente su YouTube e fatevi, in principio, due belle risate come ho fatto io...il personaggio è geniale: Van den Puup fa il verso un po' a Starck e a Marcel Wanders ed è stato ideato apposta per il pubblico britannico...inneggiando al proprio talento di designer che progetta cose super-costose fate per...l'èlite! E contemporaneamente dichiarando il proprio odio verso IKEA, che realizza oggetti dallo stesso "prestigio culturale" (anche se in certi casi è da vedere...) a prezzi decisamente più bassi, destinando così Van den Puup al più totale fallimento...tutto molto divertente se non fosse che questa campagna di spot promozionali è stata ideata e promossa proprio da IKEA...la quale dimostra, così, di saper usare la comunicazione in modo costantemente efficace e attuale.
A ulteriore dimostrazione che c'è, forse, qualcosa da imparare. E da temere.

andate sul (finto) sito di den Puup qui
andate sul sito IKEA Italia qui




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posted by alex at 18:21 | 0 comments

Jonathan Chapman, author of the recently published ‘Emotionally Durable Design’, is a lecturer at the University of Brighton. He spoke to us about the book and his reasons for writing it.


Briefly, as you see it, what is the main message or central point of the book?

Situated within the growing knowledge field of sustainable design this book investigates the emotional durability of objects to both isolate and understand the psychological and emotional factors that influence product longevity; pioneering more enduring modes of design, production and consumption for a wasteful era of limited sustainable design progress, within a context of increasing waste minimizing legislation.


What made you decide to write it? Were there any particular events, examples, personal experiences etc. (positive or negative)?

As a sustainable designer, I was growing frustrated with the wasteful superficiality of Design, in its nurturing of endless cycles of desire and disappointment within consumers. I was astonished to learn that landfills are actually packed with stratum upon stratum of durable goods that slowly compact and surrender working order beneath a substantial volume of similar scrap. It appeared clear to me that there is little point designing physical durability into consumer goods, if there is no consumer desire to keep them. I also felt grave concern as to the future of Sustainable Design, with its current focus on the results, or symptoms, of our wasteful and inefficient consumption, rather than the underlying causes. Clearly, there are debates to be had about how we should move forward; this book is a catalyst to such debates.

From what do you take the greatest encouragement (again in relation to the book)?

Given that this book represents 3 years of my life, and contains just about every thought I have ever had on the issue of design and consumption, I take great encouragement from knowing that this information is now globally available, and is no longer confined to my head. I am also encouraged by the fact that people really get what this book is about, and are genuinely excited by the significant opportunities that it proposes for Design – having read the book, people are no longer scared by what it proposes, but instead, are motivated to reconsider their practice and redirect their work toward a more enduring and sustainable model.


How positive are you (and what indications do you have?) that the ideas expressed in the book will be accepted and implemented?

In many ways this book is a toolkit that assists in the creation of objects with enduring and emotionally durable characteristics. Of course, not everyone will accept and implement the ideas put forward by this book – that is the nature of the provocative and the new. However, many will, to pioneer a new and effective genre of Sustainable Design that addresses the root-causes of the ecological crisis we face, to challenge convention and bring about the changes that are so urgently needed.


Is there anything else you think might be of interest to someone reading this article?

If like me, you are a designer with a great passion for creative practice, but with an equally powerful concern for the ethical dimension of your work, read this book. You are not alone.

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posted by alex at 12:52 | 0 comments
lunedì, aprile 02, 2007

New Italian design

"Mai più senza" era il titolo di una rubrica di «Cuore», il settimanale di resistenza umana inventato da Michele Serra alla fine degli anni Ottanta: ogni settimana selezionava un oggetto improbabile pubblicizzato su cataloghi cheap come Postalmarket, Euronova, Euroservice, CIA “un po’ di tutto”, o su «Il giornale del termoidraulico». Comparvero in quello spazio il portarotolo Chiappe, la Torcia-conogelato, gli slip magnetici, gli stuzzicadenti aromatizzati da succhiare Pic’aMint, il Naso Portaocchiali, il pulitore per palle da golf, e altre decine di gadget che non avrebbero nulla da invidiare agli zoccoli da riempire con acqua calda Winter Clogs, al Cappuccino al nero di seppia, al giocattolo-radioricevitore per maiali domestici (Toy-communicator), all’acquario bilocale per pesci rossi, alla Lampada-Shampoo, alle posate in plastica decorate con motivi impero DeLuxe o all’anello-spazzolino da denti.
Eppure gli oggetti elencati non potrebbero appartenere a due mondi più diversi: i primi anonime epifanie dello squallore, i secondi prodotti d’autore esposti nel tempio milanese della Triennale per la mostra The New Italian Design. Il paesaggio mobile del nuovo design italiano, curata da Andrea Branzi (20 gennaio-25 aprile 2007).

L’allestimento della mostra – un circuito di nastri trasportatori in stile sushi bar –, il catalogo a fisarmonica, tenuto insieme da un elastico, e l’incipit di ognuno dei testi contenuti al suo interno trasmettono un unico, perentorio messaggio: non si può giudicare il design italiano contemporaneo con l’obsoleto metro modernista.
«Dobbiamo smettere di credere che nel design tutto è già stato definito nel XX secolo: l’economia è cambiata, è cambiata la politica, la tecnologia, e anche le motivazioni al progetto», sostiene Branzi, che all’inesorabile condanna della nuova stagione come «disastro antropologico prodotto dal crollo verticale dell’etica del progetto e dell’estetica delle forme» contrappone la teoria della “modernità debole e diffusa”. Il rigido funzionalismo, la dipendenza dalla grande industria e la militanza assoluta hanno lasciato il posto – secondo Branzi – alla ricerca del reversibile, dell’elastico, al self-brand, e i grandi piani strutturali a una rivoluzione estetica molecolare che parte dal basso, dal domestico, al limite dal futile.

Più che un’analisi della situazione del nuovo design italiano questi argomenti finiscono per essere la proiezione dell’ideologia postmoderna di Andrea Branzi: non a caso parole come pulviscolare, diffuso, enzimatico appartengono da sempre al suo lessico teorico. Anche senza imporre l’odioso confronto con l’era dei Castiglioni, e pur riconoscendo la qualità di molti designer, è difficile individuare nel quadro offerto dalla mostra il campo attivo di energie descritto dal suo curatore. Osservando divertiti la lenta processione di vasi, borsette, agendine, pinzette, tazze, pupazzi, biscotti, portachiavi, tutti spiritosi, ingegnosi, trionfo del concept, non si può fare a meno di notare che, rispetto al panorama internazionale, la sperimentazione di nuovi materiali è rarissima, l’attenzione ai temi sociali quasi inesistente, i prezzi dei prodotti già in commercio mediamente molto alti e, cosa più inquietante, la soglia massima di età dei “giovani” selezionati elevata a 45 anni. Scartata l’ipotesi di un’intera generazione di allegri smidollati, viene da pensare che, nonostante il moltiplicarsi di fiere e saloni, il sistema produttivo del design italiano sia in affanno: nessuna Nokia è venuta a colmare il vuoto lasciato dal crollo dell’Olivetti.

L’ennesima apologia del Made in Italy sciorinata da Aldo Bonomi suona in questo contesto più sinistra del solito: secondo lui stiamo vivendo le meraviglie di un’economia postfordista in cui le medie imprese, battezzate per l’occasione “stazioni della creatività”, imperniano l’intera produzione sulla base delle complesse esigenze dell’utente-cliente e sulla valorizzazione del lavoro del designer.

Mentre Bonomi narra estasiato la favoletta esopiana del design-ragno che con la sua rete di relazioni annienta felicemente il fordista design-mosca, l’Harvard Business Review ha pubblicato un articolo di Roberto Verganti, docente del Politecnico di Milano, che propone come modello di innovazione vincente un progetto di vent’anni fa, il bollitore con l’uccellino disegnato da Michael Graves per Alessi: alla faccia del postfordismo e del design user-centered, Alessi vende ancora oggi migliaia di esemplari di questo bestseller «a un prezzo cinque volte superiore al bollitore, simile, che offre Target». Zero investimento nella ricerca, massimo profitto: il paradiso degli imprenditori. Non sarà che il vero pericolo per il design proviene dal cinismo postmoderno, invece che dall’etica modernista?


Lucia Tozzi (articolo pubblicato su Alias, 10/03/2007)



La Triennale di Milano e Macef invitano alla mostra

The New Italian Design - Il paesaggio mobile del nuovo design italiano

La mostra resterà aperta dal 20 gennaio al 25 aprile 2007

La mostra presenta i risultati della selezione effettuata in seguito al censimento The New Italian Design, lanciato dalla Triennale di Milano nell’aprile 2006, rivolto ai giovani designer di nazionalità italiana. Il nuovo design italiano è stato analizzato come fenomeno con caratteristiche proprie e autonome rispetto alla grande tradizione dei maestri.Ne è emersa una mappa non limitata al furniture design, ma allargata a tutte le nuove forme di comunicazione che riguardano la professione del XXI secolo: dal food al web, graphic, fashion, textile, ai copyrighter, ai designer del gioiello, ai progettisti della multimedialità…

New Italian Design
Il paesaggio mobile del nuovo design italiano

20 gennaio - 25 aprile 2007
Inaugurazione: venerdì 19 gennaio 2007, ore 18.30

A cura di Andrea Branzi
Ideazione e coordinamento: Silvana Annicchiarico
Comitato di selezione: Andrea Branzi, Silvana Annicchiarico, Alba Cappellieri, Arturo Dell’Acqua Bellavitis, Carmelo
Di Bartolo, Anna Gili, Cristina Morozzi, Stefano Maffei, Mario Piazza

Orario: 10.30 - 20.30, chiuso il lunedì
Ingresso: € 8/6/5,00

Main sponsor:
Macef
Ras

In collaborazione con Regione Lombardia - Direzione Generale Industria PMI e Cooperazione

Partner tecnici
Samsung
LCS
Grafiche Milani

Media Partner
ATM
Fondazione Corriere della Sera
Proxima



ispirazione presa dal sito lo spremiagrumi.

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posted by alex at 01:55 | 1 comments