
New Italian design
"Mai più senza" era il titolo di una rubrica di «Cuore», il settimanale di resistenza umana inventato da Michele Serra alla fine degli anni Ottanta: ogni settimana selezionava un oggetto improbabile pubblicizzato su cataloghi cheap come Postalmarket, Euronova, Euroservice, CIA “un po’ di tutto”, o su «Il giornale del termoidraulico». Comparvero in quello spazio il portarotolo Chiappe, la Torcia-conogelato, gli slip magnetici, gli stuzzicadenti aromatizzati da succhiare Pic’aMint, il Naso Portaocchiali, il pulitore per palle da golf, e altre decine di gadget che non avrebbero nulla da invidiare agli zoccoli da riempire con acqua calda Winter Clogs, al Cappuccino al nero di seppia, al giocattolo-radioricevitore per maiali domestici (Toy-communicator), all’acquario bilocale per pesci rossi, alla Lampada-Shampoo, alle posate in plastica decorate con motivi impero DeLuxe o all’anello-spazzolino da denti.
Eppure gli oggetti elencati non potrebbero appartenere a due mondi più diversi: i primi anonime epifanie dello squallore, i secondi prodotti d’autore esposti nel tempio milanese della Triennale per la mostra The New Italian Design. Il paesaggio mobile del nuovo design italiano, curata da Andrea Branzi (20 gennaio-25 aprile 2007).
L’allestimento della mostra – un circuito di nastri trasportatori in stile sushi bar –, il catalogo a fisarmonica, tenuto insieme da un elastico, e l’incipit di ognuno dei testi contenuti al suo interno trasmettono un unico, perentorio messaggio: non si può giudicare il design italiano contemporaneo con l’obsoleto metro modernista.
«Dobbiamo smettere di credere che nel design tutto è già stato definito nel XX secolo: l’economia è cambiata, è cambiata la politica, la tecnologia, e anche le motivazioni al progetto», sostiene Branzi, che all’inesorabile condanna della nuova stagione come «disastro antropologico prodotto dal crollo verticale dell’etica del progetto e dell’estetica delle forme» contrappone la teoria della “modernità debole e diffusa”. Il rigido funzionalismo, la dipendenza dalla grande industria e la militanza assoluta hanno lasciato il posto – secondo Branzi – alla ricerca del reversibile, dell’elastico, al self-brand, e i grandi piani strutturali a una rivoluzione estetica molecolare che parte dal basso, dal domestico, al limite dal futile.
Più che un’analisi della situazione del nuovo design italiano questi argomenti finiscono per essere la proiezione dell’ideologia postmoderna di Andrea Branzi: non a caso parole come pulviscolare, diffuso, enzimatico appartengono da sempre al suo lessico teorico. Anche senza imporre l’odioso confronto con l’era dei Castiglioni, e pur riconoscendo la qualità di molti designer, è difficile individuare nel quadro offerto dalla mostra il campo attivo di energie descritto dal suo curatore. Osservando divertiti la lenta processione di vasi, borsette, agendine, pinzette, tazze, pupazzi, biscotti, portachiavi, tutti spiritosi, ingegnosi, trionfo del concept, non si può fare a meno di notare che, rispetto al panorama internazionale, la sperimentazione di nuovi materiali è rarissima, l’attenzione ai temi sociali quasi inesistente, i prezzi dei prodotti già in commercio mediamente molto alti e, cosa più inquietante, la soglia massima di età dei “giovani” selezionati elevata a 45 anni. Scartata l’ipotesi di un’intera generazione di allegri smidollati, viene da pensare che, nonostante il moltiplicarsi di fiere e saloni, il sistema produttivo del design italiano sia in affanno: nessuna Nokia è venuta a colmare il vuoto lasciato dal crollo dell’Olivetti.
L’ennesima apologia del Made in Italy sciorinata da Aldo Bonomi suona in questo contesto più sinistra del solito: secondo lui stiamo vivendo le meraviglie di un’economia postfordista in cui le medie imprese, battezzate per l’occasione “stazioni della creatività”, imperniano l’intera produzione sulla base delle complesse esigenze dell’utente-cliente e sulla valorizzazione del lavoro del designer.
Mentre Bonomi narra estasiato la favoletta esopiana del design-ragno che con la sua rete di relazioni annienta felicemente il fordista design-mosca, l’Harvard Business Review ha pubblicato un articolo di Roberto Verganti, docente del Politecnico di Milano, che propone come modello di innovazione vincente un progetto di vent’anni fa, il bollitore con l’uccellino disegnato da Michael Graves per Alessi: alla faccia del postfordismo e del design user-centered, Alessi vende ancora oggi migliaia di esemplari di questo bestseller «a un prezzo cinque volte superiore al bollitore, simile, che offre Target». Zero investimento nella ricerca, massimo profitto: il paradiso degli imprenditori. Non sarà che il vero pericolo per il design proviene dal cinismo postmoderno, invece che dall’etica modernista?
Lucia Tozzi (articolo pubblicato su Alias, 10/03/2007)
La Triennale di Milano e Macef invitano alla mostra
The New Italian Design - Il paesaggio mobile del nuovo design italiano
La mostra resterà aperta dal 20 gennaio al 25 aprile 2007
La mostra presenta i risultati della selezione effettuata in seguito al censimento The New Italian Design, lanciato dalla Triennale di Milano nell’aprile 2006, rivolto ai giovani designer di nazionalità italiana. Il nuovo design italiano è stato analizzato come fenomeno con caratteristiche proprie e autonome rispetto alla grande tradizione dei maestri.Ne è emersa una mappa non limitata al furniture design, ma allargata a tutte le nuove forme di comunicazione che riguardano la professione del XXI secolo: dal food al web, graphic, fashion, textile, ai copyrighter, ai designer del gioiello, ai progettisti della multimedialità…
New Italian Design
Il paesaggio mobile del nuovo design italiano
20 gennaio - 25 aprile 2007
Inaugurazione: venerdì 19 gennaio 2007, ore 18.30
A cura di Andrea Branzi
Ideazione e coordinamento: Silvana Annicchiarico
Comitato di selezione: Andrea Branzi, Silvana Annicchiarico, Alba Cappellieri, Arturo Dell’Acqua Bellavitis, Carmelo
Di Bartolo, Anna Gili, Cristina Morozzi, Stefano Maffei, Mario Piazza
Orario: 10.30 - 20.30, chiuso il lunedì
Ingresso: € 8/6/5,00
Main sponsor:
Macef
Ras
In collaborazione con Regione Lombardia - Direzione Generale Industria PMI e Cooperazione
Partner tecnici
Samsung
LCS
Grafiche Milani
Media Partner
ATM
Fondazione Corriere della Sera
Proxima
ispirazione presa dal sito lo spremiagrumi.
Etichette: articolo, Design Italiano, Salone del Mobile

At mer mag 16, 06:49:00 PM 2007, alex
Alla fine ci sono andato a questa esposizione, durante la settimana del Design. Ero un po' prevenuto, visto che avevo letto - giust'appunto - questa recensione così critica. Devo dire - però - che pur essendo d'accordo su buona parte delle accuse si devono considerare molti altri fattori che, seppur slegati da discorsi filo-ambientali ed eco-sostenibili, fanno parte della vita quotidiana di un uomo/donna medio borghese della civiltà contemporanea: ci sono esigenze che chiameremmo "futili" se le guardassimo solo dalla riva degli allarmismi dell'ecosistema, ma visto che non è così vale la pena dedicargli attenzione. questo è quello che - infine - hanno fatto la maggior parte dei professionisti che hanno esposto alla Triennale. Essere sensibii alle sfumature del quotidiano, a piccoli vezzi e ai possibili stravolgimenti del quotidiano non significa per forza essere sordi e ciechi verso i problemi del mondo che ben conosciamo. va dunque espresso un "piano con le parole" alla cara Lucia Tozzi di Alias perchè tra il dire e il fare c'è di mezzo una professione: c'è chi fa critica giornalistica e chi fa il designer.